2022, i nuovi big della moda potrebbero essere gli influencer

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«Oggi è martedì 18 ottobre 2022: cosa è successo ai brand dal 2017 in poi?». Da qui è partita una delle tavole rotonde più seguite di Brandy. La prima provocazione l’ha lanciata il nostro direttore e ceo Marc Sondermann (nella foto), che fingendo di trovarsi già in un futuro non così lontano ha delineato uno scenario in cui gli influencer potrebbero diventare i nuovi Giorgio Armani, Google trasformarsi in una semplice app e le “leghe delle metropoli” imporsi come nuovi centri di business e di potere.

«Chi avrebbe detto che oggi, martedì 18 ottobre 2022, sarebbero scomparse grandi case del lusso che sembravano indistruttibili, perché il loro modello di business e di comunicazione non era più attuale?»: questo l’incipit dell’intervento di Sondermann, che parlando a braccio ha spaziato dall’escalation degli influencer come artefici dei nuovi brand di successo (una prospettiva plausibile, visto il ruolo di Chiara Ferragni come apripista di questo fenomeno) al de profundis del retail inteso in senso tradizionale, fino a immaginare la costituzione di una “lega delle metropoli” – da Singapore a Zurigo, fino a Milano – in grado di dettare legge a livello di economia, finanza e anche tendenze.

Il direttore e ceo della nostra testata ha, in sintesi, evidenziato quanto oggi, e ancor di più tra cinque anni, i colossi della moda, della politica, dell’imprenditoria e della media industry non siano più tanto “sicuri” e inattaccabili nelle loro posizioni, perché è il momento dell’autoimprenditorialità, della fluidità, di chi partendo da sfide apparentemente impossibili sa ribaltare un sistema e delle rivoluzioni che non nascono nelle piazze, ma sui social.

«Siamo nel 2022 e Amazon è diventata una media company – ha concluso – e Google una app. Era stata proprio Google a pensare alle auto intelligenti nel lontano 2006, solo che non ha avuto la forza di portare avanti il progetto e ha perso un treno importante. Invece la startup che si inventa un modello vincente e lo porta avanti, credendoci fino in fondo, può dare del filo da torcere a realtà consolidate».

Ma quali saranno le parole chiave del 2022? Leonardo Buzzavo di Quintegia, che organizza Brandy, ha fatto un mini-sondaggio tra i partecipanti, da cui sono emersi termini come affidabilità, sostenibilità, intelligenza, «ma anche trasparenza e interattività – ha precisato – e soprattutto “caring”, prendersi cura delle cose e delle persone».

«Non solo – ha aggiunto Barbara Corti, cdo worldwide di Flos – occorrerà connettere tecnologia e creatività, in un processo che in fondo rappresenta l’essenza del design, da sempre un acceleratore di innovazione. Immaginando di essere nel 2022, vedo persone che sceglieranno i prodotti in base a ciò che ci possono fare e a concetti come esperienza, autonomia e azione. In altri termini, il sogno di un giovane neolaureato non sarà più avere la bella macchina».

Corti ha citato alcune case history specchio dei cambiamenti in atto: «Da Capital One, banca che tre anni fa ha acquisito una realtà del design, Adaptive Path, inglobando la cultura progettuale, a Warby Parker, che con Home Try-On si è inventata un modo smart di vendere gli occhiali, consentendo alle persone di provarli a casa e decidere se comprarli e fornendo una app per un esame completo della vista. B8ta, poi, è uno store di prodotti tecnologici, che consente ai venditori di avere un feedback immediato sulle vendite e il gradimento da parte dei consumatori».

Anche un gigante come Procter&Gamble sta cambiando registro, co-progettando le proprie proposte insieme al pubblico, mentre Lufthansa per ripensare la business class a lungo raggio dei suoi aerei ha messo a punto un prototipo, un vero velivolo, per cogliere le reali aspettative ed esigenze dei passeggeri.

Dennis Valle – che dopo esperienze in Diesel, Versace e Dolce&Gabbana ha fondato Inventae, società di consulenza focalizzata su lusso, retail e beni di consumo -, ha ricordato una frase di Coco Chanel: «La moda è nel cielo, nelle strade, in ciò che succede intorno a noi».

Quindi pensare alla moda è anche considerare che si tratta della seconda industria inquinante dopo quella petrolifera, oppure che ci vogliono 11mila litri d’acqua per produrre un chilo di cotone.

«Soprattutto i Millennials e le giovani generazioni non vogliono solo avere ma anche essere – ha osservato – e premiano i business responsabili, i purpose brand autentici e onesti, in grado di costruire fiducia».

Valle ha portato alla ribalta il caso di Certilogo, che grazie a un algoritmo riconosce i capi fake rispetto a quelli autentici, e il successo di Vestiaire Collective, basato sul remade e il riciclo. Ma va tenuta d’occhio anche una startup come Decontoured, che ricicla e rimoderna i vestiti usando solo materiale di recupero, mentre lo stilista Christopher Raeburn dà nuova vita alle divise militari americane e il sito projectjust.com misura la trasparenza delle aziende. «Cinque anni – ha concluso Dennis Valle – sono pochi per un cambiamento radicale, ma tanti se non si fa nulla».

Infine, Wolfgang Wild – giornalista, scrittore e fondatore di Retronaut (sito che immagazzina foto del passato sulla storia, il costume e la società) – ha proiettato alcune immagini come la Tour Eiffel e il Tower Bridge in costruzione, Buffalo Bill e Toro Seduto insieme, il Golden Gate nella fase iniziale dei lavori.

«Il grande ponte di San Francisco sembra che esista da sempre ma non è così – ha commentato Wild -. Tutti abbiamo vissuto nel passato e i segni del futuro erano già lì, a indicare una trasformazione che sarebbe poi diventata evoluzione irreversibile. Il cambiamento avviene qui e ora».

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